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Al bagliore di una lucerna:
l'illuminazione della villa

a cura di Silvana Gavagnin

In ogni società, ieri come oggi, in assenza di luce solare l’illuminazione artificiale è elemento imprescindibile per vivere e svolgere le attività quotidiane.
Nel mondo antico la luce è assicurata da candele, torce, lanterne e lucerne: soprattutto queste ultime sono per i Romani tra gli oggetti domestici più diffusi e di sicuro i più frequenti per illuminare gli ambienti interni (ma anche quelli esterni, pubblici o privati, sacri o domestici); il ritrovamento, nei contesti archeologici, di una grande quantità di questi manufatti può essere agilmente spiegato con il fatto che la luce era necessaria nella vita di ogni giorno e i mezzi di cui i Romani disponevano, se non utilizzati in grande numero, non erano sufficienti per contrastarne l’assenza. Per riuscire a illuminare in modo adatto un’unica stanza dovevano essere usate mediamente dieci lucerne. Collocate in ogni ambiente della casa per diffondere la loro luce, venivano appoggiate sui ripiani dei mobili, inserite entro nicchie create nei muri, talvolta anche poste in candelabri, o anche appese. Secondo la tradizione era compito della mater familias accendere il fuoco domestico e prendersene cura.
Oltre alla funzione domestica, le lucerne avevano anche largo uso in ambito religioso, votivo e funerario (la lucerna è uno degli oggetti più comuni presenti nel corredo dei defunti).
Le lucerne sono piccole lampade per lo più a olio realizzate in diversi materiali, le più comuni sono sicuramente quelle in terracotta (in quanto l’argilla era materia versatile e poco costosa) anche se non mancano in pietra, in vetro e più pregiati oggetti in bronzo e, raramente, in metallo più prezioso. La loro forma poteva essere aperta o chiusa e generalmente erano costituite da tre parti: il corpo, contenente la sostanza che bruciava, il beccuccio, in cui si apriva il foro di bruciatura e l’ansa, per facilitare la presa del manufatto; il piccolo contenitore poteva essere riempito di olio o altre sostanze infiammabili, che bruciavano tramite uno stoppino in fibra di origine animale o vegetale inserito nel beccuccio. E’stato calcolato che la fiamma di una lucerna in ceramica durava circa un’ora e mezza prima di estinguersi.

La modalità di fabbricazione segue uno sviluppo cronologico: dapprima modellate a mano, già dal IV secolo a.C. erano prodotte con il tornio e infine, in età romana, in serie tramite matrice.
Con i primi secoli dell’Impero si raggiungono gli esiti più raffinati delle produzioni. Sulla parte superiore del manufatto (chiamata disco) era frequente la presenza di una decorazione a rilievo: il ricco repertorio comprendeva raffigurazioni di animali, elementi vegetali e i temi cari alla società del tempo, come le divinità e i personaggi del mito, i giochi dei gladiatori, le maschere teatrali; non mancavano scene legate alla vita di ogni giorno e negli esemplari più tardi erano spesso presenti simboli dedicati al cristianesimo. Sulla base, a volte, era impresso il nome dell’artigiano o della bottega che aveva prodotto il contenitore.
Le lucerne romane sono state classificate dagli archeologi sulla base delle forme degli elementi che le costituiscono, le cui diversità sono legate a evoluzioni tecniche volte a un progressivo miglioramento funzionale e ai mutamenti del gusto estetico. Attraverso un singolo oggetto lo studioso di antichità può ricavare preziose notizie su cronologia, area di produzione e contesto di ritrovamento.
Ad Albisola sono state ritrovate almeno 9 lucerne (clicca qui per  accedere alla pagina “la vita quotidiana” e vederne alcune), alcune integre, altre frammentarie; dovevano essercene molte di più durante i secoli di vita della villa e non è da escludere esistessero, all’interno dell’ala residenziale, anche più raffinati manufatti in bronzo, sebbene non siano stati rinvenuti durante le indagini archeologiche.
Immaginiamo che i piccoli contenitori fossero collocati all’interno dei cubicula, poveri di illuminazione, e nei vani destinati all’accoglienza, magari a creare veri e propri lampadari per rischiarare in modo adeguato i convivi e per mostrare la raffinatezza e l’agiatezza di chi dimorava nella villa. Esse dovevano rischiarare e abbellire anche i giardini, che nella ricca residenza restavano illuminati fino a tardi.