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La storia degli scavi
ma non solo
Siamo spesso abituati, quando visitiamo un luogo di cultura, ad avere a che fare, in vario modo, con la sua storia in relazione al periodo storico in cui è stato frequentato e a chi lì ha vissuto. Meno spesso invece ci si chiede come si è venuti a conoscenza dell’esistenza di un certo luogo, come è stato scoperto, chi se ne è occupato e quando. Nel caso specifico di un sito archeologico, come è il nostro, può essere interessante conoscere non solo la storia di quel contesto nel passato, ossia all’interno della sua epoca, ma anche la storia degli scavi che ne hanno consentito la messa in luce e delle altre attività di studio e tutela che lo riguardano. Potremmo chiamarla “storia della conoscenza”. Essa inizia in un certo anno, quello in cui per esempio è avvenuta la sua scoperta, ma non si conclude mai. Si, perché non si finisce mai di studiare una testimonianza del nostro passato: essa continua a parlarci, in vario modo, anche grazie alle nuove tecnologie, aiuto prezioso per lo studio e l’analisi di materiali e reperti di ogni genere.
La storia della conoscenza della villa di Alba Docilia è iniziata nel 1600 e non si è ancora conclusa.Le fonti storiche riguardati il territorio savonese ci dicono che già nei primi decenni del XVII secolo l’area compresa tra le attuali via San Pietro e corso Mazzini era nota per la presenza di “rovine” che emergevano qua e là nei terreni coltivati a orti e vigneti. Il Verzellino, per l’anno 1620, riferisce il ritrovamento, presso la chiesa di San Pietro, di una tomba con cassa in piombo.
All’inizio del 1800 si ha poi notizia delle primissime attività di “scavo di antichità” ma fu nel 1880 che accadde qualcosa di veramente determinante per la storia della conoscenza della nostra villa: il parroco della chiesa di San Nicolò di Albisola, Giovanni Battista Schiappapietra, già regio Ispettore degli scavi e monumenti di Savona, con il sostegno del sindaco di allora, il Marchese Gerolamo Gavotti, decise di intraprendere ricerche archeologiche regolari nell’area circostante la chiesa di San Pietro. Venne portato così alla luce un primo nucleo di strutture, quello riconosciuto poi come impianto termale e vennero recuperati moltissimi materiali e reperti. Il parroco creò così, a scopo di tutela e conservazione, una collezione, nota tutt’ora come “Collezione Schiappapietra”, conservata fino agli anni Ottanta del Novecento presso l’oratorio di Santa Maria Maggiore e poi trasferita in parte presso il Civico Museo per la Storia della Ceramica Manlio Trucco di Albisola Superiore. Quindi una pausa di quasi cento anni.
La successiva data chiave è il 26 febbraio 1957.
Fu questo, infatti, il giorno di inizio dei lavori di rinnovo urbanistico di tutta l’area compresa tra via San Pietro e corso Mazzini per la costruzione della stazione ferroviaria e della adiacente piazza Giulio II. L’area, vista la già nota presenza di strutture antiche rinvenute nell’800, fu oggetto di indagini archeologiche preventive, dirette dalla allora Soprintendenza alle Antichità della Liguria nella persona di Dede Restagno, con la collaborazione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri.
Gli scavi partirono dalla zona delle strutture già note, per procedere poi in estensione in tutta l’area. Negli 11 mesi successivi vennero progressivamente portate alla luce le strutture ovest, est, sud e nord del grande edificio quadrangolare (pars rustica) che delimitavano il grande cortile centrale. Negli anni ’50 del secolo scorso la metodologia dello scavo archeologico era piuttosto diversa da quella attuale: diciamo che non si era ancora perfezionata e lo scavo, specialmente se in presenza di strutture antiche già note, avveniva tramite sterro, con lo scopo di cercare appositamente le murature, spesso trascurando la sequenza di deposizione degli strati di terreno e i rapporti stratigrafici tra questi e le strutture stesse. I lavori consistettero infatti nel seguire, attraverso lo scavo di trincee, l’andamento delle rasature dei muri della villa, partendo dai tratti già noti. Malgrado ciò, è indubbio che, nel suo complesso, fu un lavoro di scavo considerevole, eseguito e diretto con cura. Nell’ambito di tutta la documentazione prodotta durante i lavori, venne anche redatto un diario di scavo (attività non proprio scontata in un cantiere archeologico ma tuttavia assai importante e utile). Questo scritto esiste ancora ed è conservato a Genova, nella sede della Soprintendenza in un apposito armadio: a partire dal 26 febbraio 1957, pressoché quotidianamente, Dede Restagno redige, pagina dopo pagina, una accurata descrizione della successione delle attività di scavo delle trincee, di cui indica posizione, andamento e estensione, soffermandosi sul rinvenimento progressivo delle strutture e sull’elencazione dei reperti recuperati. Solo sporadicamente vengono descritti i livelli di terreno scavati e i relativi rapporti stratigrafici tra essi e le strutture (dati imprescindibili per la metodologia moderna). E’ però doveroso sottolineare che all’interno del diario di scavo è presente anche una interessantissima selezione di fotografie che ci mostrano, al di là delle varie trincee di scavo, l’aspetto di tutta l’area circostante al momento dei lavori. Dedicando una sezione specifica a questi interessanti documenti, eccone da vicino alcune pagine.
Lo scavo ebbe termine il 31 dicembre del 1957 e nel 1961 vennero emanati i decreti ministeriali che sancirono la permanenza del vincolo archeologico su tutta l’area.
Successivamente, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del nuovo millennio furono intraprese, per volontà della Soprintendenza, non solo nuove campagne di scavo ma anche di valorizzazione e conservazione delle strutture.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento le indagini permisero di definire con maggior precisione gli ingombri di diverse aree della villa.
In particolare le campagne di scavo del 1971 e 1972, dirette da Fernanda Tiné Bertocchi, consentirono di portare in luce e di documentare gli ambienti dell’area residenziale (pars urbana) , soprattutto quelli verso ovest, incluso il cortile rettangolare con peristilio mentre verso est lo stato di conservazione delle strutture apparve subito agli archeologi enormemente compromesso da interventi posteriori, incluse le recenti attività agricole.
Verso la fine degli anni ’70 venne definitivamente sistemata la piazza antistante l’ingresso della stazione: fu in questa occasione che si decise di evidenziare nella nuova pavimentazione della piazza il tracciato delle murature della pars rustica, di nuovo interrate, attraverso l’inserimento, nel nuovo selciato, di elementi in travertino. Rimasero a vista, come infatti vediamo attualmente, il settore termale e la zona residenziale (pars urbana). Questa porzione di villa venne quindi recintata ma senza la presenza di tettoie, per favorirne una maggior visibilità. Gli interventi degli anni ’80 ebbero come oggetto la manutenzione e il restauro delle strutture murarie e solo con la seconda metà degli anni ’90 furono riprese le indagini archeologiche: in particolare tra gli anni ’90 e il 2000 gli archeologi si concentrarono sui lavori di restauro, conservazione e valorizzazione di tutta l’area archeologica partendo dalla realizzazione di un nuovo rilievo di tutto il complesso, con particolare attenzione al monumento circolare dell’area termale.
Veduta degli scavi del 1971.
Immagine tratta da Tiné Bertocchi, Scavi a San Pietro di Albissola, in Rivista Ingauna e Intemelia XXVIII, 1971, p. 65.
Le opere più recenti sono iniziate a partire dal 2021 con le numerose attività di risitemazione dell’area, quali la pulizia sistematica di tutte le strutture e dell’interno dei vari ambienti, la regolarizzazione delle superfici attraverso la rimozione di terreni di risulta, l’uniformazione cromatica delle stesse attraverso appositi materiali, nonché il rinnovo e manutenzione dell’area verde, tutti interventi propedeutici, in una prima fase, alla realizzazione dei nuovi pannelli didattici e in seconda fase alla installazione del nuovo impianto di illuminazione e alla realizzazione del presente sito web.
Il tutto, come già avrete capito, ha lo scopo ben preciso di rendere fruibile a tutti e in maniera sistematica e continua questa area archeologica, ad esempio attraverso l’organizzazione di visite guidate, la realizzazione di contenuti digitali accessibili attraverso i qr-codes che troverete sui pannelli didattici e la progettazione di iniziative per le scuole.